Gigi Buffon ha le idee chiarissime sul suo futuro: ancora due anni da capitano della Juventus e della nazionale italiana e poi il ritiro dopo il Mondiale 2018. L’obiettivo in tal senso è chiarissimo: diventare il primo giocatore della storia ad essere convocato per 6 mondiali. Buffon, infatti, non ha mai saltato una convocazione da Francia 1998, mondiale al quale prese parte ad appena 20 anni come terzo portiere subentrando all’ultimo momento ad Angelo Peruzzi – che avrebbe dovuto essere il titolare in quella spedizione – infortunatosi a pochi giorni dall’inizio della competizione.
Dopo il mondiale a Buffon piacerebbe fare il CT, magari iniziando da Stati Uniti o Cina: “Ho un notevole bagaglio di esperienza, ma non voglio allenare. Piuttosto mi piace il ruolo del selezionatore. Sono ambizioso. Se faccio qualcosa è con l’idea di arrivare in alto: senza di questo smetterei di vivere. Andrei verso delle nazioni come gli Stati Uniti o la Cina, che hanno un grande potenziale per una grande popolazione e che tra una dozzina d’anni potrebbero vincere“.
Dopo il ritiro Buffon si lascerà alle spalle un calcio che considera meno ‘romantico’: “Sono le dinamiche economiche a stabilirlo, quelle che permetteranno al Norwich di giocare in Champions tra un paio d’anni grazie allo sceicco di turno. E’ un bene per i loro tifosi, ma viene a mancare l’aspetto romantico del calcio, la tradizione, frutto del sudore di chi ti ha preceduto“.
I talenti in Italia scarseggiano e secondo Buffon la colpa è da attribuire alle abitudini moderne e anche alla poca fiducia che si concede ai giovani: “Ai miei tempi si giocava all’oratorio, in gruppo e convivialità. Oggi i giovani stanno davanti a computer, iPad e calcisticamente fantasia, ispirazione e talento ne sono anestetizzati… Da noi se fai cento parate e un errore, il resto della settimana si parlerà solo dell’errore, facendoti impazzire. All’estero invece puoi sbagliare e crescere tranquillo. Da noi se uno sbaglia è fregato. Chi resta ai vertici da noi è molto forte anche psicologicamente“.
Con tutte l’esperienza accumulata Gigi non soffre più la pressione di un tempo: “Ho 38 anni e milioni di certezze, ma ho ancora paura quando gioco talune partite. E la cosa che mi piace di più di me è proprio la consapevolezza di essere spaventato ma anche di voler affrontare la paura. E’ come una sfida. Non si tratta di non avere timori. Si tratta di provare la paura, di conoscerla e di superarla“.
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